INTRODUZIONE

Poetica e poesia. Con la parola «poetica» si vogliono essenzialmente indicare la consapevolezza critica che il poeta ha della propria natura artistica, il suo ideale estetico, il suo programma, i modi secondo i quali si propone di costruire. Si distinguono di solito una poetica programmatica e una poetica in atto, ma la parola ha il suo vero valore nella fusione dei due significati, come intenzione che si fa modo di costruzione. Ad ogni modo, come non si identifica con la capacità autocritica dell’artista nell’atto creativo la chiarezza teorica circa l’essenza dell’arte, che egli può avere anche fuor di quell’atto, cosí non si identifica la poetica con la reale poesia.

Si possono dare molti equivalenti della parola «poetica» nel campo dell’esperienza artistica: è la poesia di un poeta vista come ars, lo sfondo culturale animato dalle preferenze personali del poeta, è il meccanismo inerente al fare poetico, è la psicologia del poeta tradotta in termini letterari, è il poeta trasformato in maestro, quella certa maniera storicizzabile e suscettibile di formare scuola, che si trova sublimata nell’attuazione personale dell’artista, è un gusto che ha radice in un’ispirazione naturale e che si complica su se stesso. Poetica è anche scelta e imposizione di contenuto, tanto piú violenta quanto piú esteriore è la forza nativa del poeta (per esempio, i futuristi).

Approssimazioni che non si eliminano, ma coesistono nella realtà della poetica, approssimazioni di cui ci si deve servire per distinguere l’idea di «poetica» e ritrovare la spinta costruttiva entro il pieno della poesia realizzata.

Poetica si distingue poi agevolmente da estetica in quanto che, mentre questa teorizza, la poetica ha un valore personale di esperienza e di gusto nativo. L’estetica cerca di dare un rigore scientifico al gusto, la poetica invece vuole concretare la vita attiva di una fantasia, la costruzione di un mondo poetico. Perciò, mentre un’estetica del decadentismo porterebbe alla discussione di problemi filosofici, la poetica ci porta in un campo di indagine letteraria, artistica, ad un’esperienza non teorica ma di testi poetici.

Poetica è il programma che ogni artista, in quanto tale, non solo segue, ma sa di seguire, anche se esplicitamente non ce lo dice. Perciò ogni poetica implica un’«arte poetica», ed ogni artista potrebbe, se volesse, redigere un qualcosa di simile all’Art Poétique di Boileau o di Verlaine, una critica cioè della sua arte e un programma di lavoro. Sarebbe anzi possibile per ogni autore ridurre la propria poetica ad una serie di insegnamenti, che d’altronde acquistano vita reale solo nella poetica in atto della sua poesia.

Nel cogliere il divario fra la poetica e la poesia, fra il programma e la realizzazione effettiva, sta il compito essenziale del critico. Studiare quindi la poetica di un poeta significa afferrare il centro della sua ars e insieme la qualità della sua personale sensibilità. La poetica può diventare cosí, da un lato, una precettistica e, dall’altro, spianarsi nel paesaggio sentimentale del poeta. Si intenda perciò l’estensione della parola e la sua efficacia come espediente di lavoro e di storicizzamento dei poeti in un’epoca spirituale.

Infatti l’utilità critica degli studi di poetica non si avverte soltanto all’esame interno della relazione tra poetica e poesia: vale agli effetti di una storia letteraria in quanto indica, entro i limiti della personalità, il gusto di un’epoca, le tendenze di un periodo letterario. Si può dire anzi che non si fa mai storia di poesia, ma di poetica.

Nei periodi di maggior «letteratura» e di maggior raffinatezza culturale, gli studi di poetica si mostrano ancora piú opportuni e giovevoli: nelle civiltà cioè in cui predomina l’ars, abbondano i programmi, ed hanno grande sviluppo le scuole e i cenacoli poetici. E soprattutto pare che gli studi di poetica abbiano maggiore valore quando si tratta di fenomeni letterari europei, quale il decadentismo.

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Decadenza e decadentismo. «Con che si caratterizza ogni decadenza letteraria? Con questo, che la vita non risiede piú nell’insieme. La parola diventa sovrana e spicca un salto fuori della frase, la frase ingrossa e oscura il senso della pagina, la pagina acquista vita a spese dell’insieme». Cosí Nietzsche parla della decadenza nel suo sfogo personale contro l’arte e la persona di Richard Wagner[1].

Ma decadenza e decadentismo si equivalgono? L’etimo li accomuna al punto di far sembrare la seconda parola quasi uno storicizzamento intensificante della prima. Evidentemente, se le cose stessero cosí, ogni studio di decadentismo si risolverebbe in uno studio di caratteri patologici, in una diagnosi mortificante e squalificante. E grande arte decadente sarebbe un nonsenso, non solo per i semplici ma per chiunque conosca l’eterna classicità dell’arte e la sua incompatibilità con ogni sorta di malattia spirituale.

Proprio agli inizi del decadentismo si disputò molto in Francia sul concetto di decadenza che stranamente divenne l’atto d’accusa dei passéistes e il segnacolo trionfante dei décadents[2].

Questi evidentemente, accettando il nome dispregiativo sulla bocca dei loro avversari, sentivano e sapevano che quella decadenza era per loro una nuova èra, una conquista, un umanesimo sui generis, implicante tutta la vita morale ed artistica. E decadenza fu in principio soprattutto un giudizio moralistico e un vanto snobistico. Ma di decadenza si parlò ancora in Inghilterra a proposito dei preraffaelliti, in Germania per i postromantici. Si tratta dunque di un fenomeno storico e di una denominazione parimenti storica, cresciuta su una condanna moralistica e sviluppatasi con un significato deteriore che continuamente si intrude in quello genuinamente storico.

Anzitutto, decadenza di che? Di un astratto tipo di poesia o del concreto romanticismo? Decadenza romantica. Ma nel decadentismo c’è assai di piú che la fine del romanticismo, la quale semmai coincide con gli inizi del nuovo periodo. Solo speciosamente si può costruire un grafico discendente dal romanticismo ad oggi, come immiserimento e falsificazione dell’arte; e chi può contentarsi di un simile procedimento quando conosca ed apprezzi nel loro giusto conto i valori positivi del decadentismo?

Questo è proprio il caso di vedere il decadentismo storicamente, di separarlo dal concetto astratto di decadenza, di dargli lo stesso valore storico che diamo al «romanticismo». Ricordandoci che anche con «romantico» si indica genericamente un carattere piú o meno patologico, ma che chi voglia sul serio parlarci di romanticismo abbandona questi pretesti allotrii e si riduce all’esame di un concreto momento storico e di concrete personalità[3].

Parlare quindi di decadentismo facendo pesare la sua comunanza etimologica con decadenza è criticamente inopportuno e troppo spesso confina con una condanna moralistica, con una critica che è piú di costume che non letteraria[4]. Del resto faremo vedere subito come e in che senso il decadentismo possa passare per decadenza romantica e come invece significhi un modo di intendere la poesia diverso da quello romantico e storicamente, non patologicamente, determinabile.

Pare a noi quindi che si debba vedere il decadentismo come un fenomeno storico concretato in singole personalità poetiche, personalità che non sono né accresciute né menomate dalla loro appartenenza a questo clima poetico. Insomma per noi non suona equivoca o assurda la qualifica di «grande poeta decadente», come non lo suona quella di grande poeta romantico.

Per far sentire meglio la necessità di separare decadentismo (quella che per il Vinciguerra sarebbe molto semplicemente la sesta generazione romantica) da romanticismo, di togliere ogni preconcetto patologico nell’esame di questo periodo storico, e per sottolineare l’importanza di uno studio di poetica in questo campo, rivedremo in breve le origini, lo sviluppo del decadentismo, le sue limitazioni cronologiche, i suoi caratteri fondamentali e perciò, appunto, la sua poetica.

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Romanticismo e decadentismo. Il romanticismo, dopo tante ricerche di carattere filosofico, stilistico, psicologico (le varie facce, e antitetiche spesso, che mostra ai suoi studiosi il romanticismo derivano dalle diverse e parziali posizioni da cui quelli lo esaminano), si ritrova in due punti essenziali: la prepotenza della personalità e il misticismo. Due note che sembrano contrastanti e che si accompagnano al culto degli ideali troppo spesso generici, gli Ideali con la maiuscola che hanno trovato la morte nel Novecento. C’è nei romantici una forte religiosità (si pensi soprattutto al romanticismo idealistico tedesco) e un impeto costruttivo (l’ultimo Hölderlin, Leopardi, De Vigny), che manca ai decadenti, il cui interesse è piú sostanzialmente mistico-estetico. Fra romanticismo e decadentismo c’è in certo senso la distanza che separa l’affermazione violenta dell’io dalla sua analisi piú raffinata.

D’altra parte il romanticismo presenta dei motivi che il decadentismo eredita e sviluppa con un suo originale accento. Nel romanticismo, e specialmente in quello tedesco, che è la spina dorsale di tutto il periodo, il filone mistico era stato di un’importanza fortissima: basta pensare a Novalis. Verso la metà del secolo questo motivo predomina e soffoca la vita degli altri, segnando la fine del romanticismo e l’inizio del nuovo periodo.

Come il romanticismo era stato un fenomeno europeo, ma con centro in Germania, cosí il decadentismo trova il suo contatto piú chiaro col romanticismo pure in Germania. Ivi piú facilmente che altrove, data la grande civiltà romantica tedesca, si nota il punto di passaggio dall’ultimo romanticismo agli inizi del decadentismo.

Le tre personalità che piú freneticamente rappresentano l’estremo romanticismo sono nello stesso tempo tre padri legittimi di decadentismo: Schopenhauer, Nietzsche e Wagner. In essi già i confini fra le due posizioni traballano. Non sono né pura filosofia né pura arte, e i motivi pratici, vitali, i presentimenti delle oscure radici dell’essere che uniscono in profondità Wort-Ton-Drama, volontà e rappresentazione, superuomo e superbestia, si fanno frequenti (cosa sono se non sensazione di un’unità mistica, raccordi di forme che si ignorano e si amano, le note sospirate, continue, sorte dal profondo del cuore e che sembrano strappare l’anima della terra, nel Tristano?). Si opera già, con la sovranità dell’arte come liberazione (il particolar modo di vedere l’arte come soluzione estrema, in Schopenhauer, è rimasto fondamentale nel decadentismo) e con la bella violenza nietzschiana, la mistione di arte e vita, che caratterizza per l’appunto la nuova epoca artistica. Nella quale questo filone si libera, si fa autonomo, mediante la scoperta massima della nuova sensibilità: la scoperta del subcosciente, quasi di un nuovo regno dello spirito.

La vita dell’attimo, il relativismo eterno, platonizzante, porta all’aristocratica analogia di Mallarmé, e, in modo piú meccanico e passivo, al praticismo simultaneista di Marinetti. Freud e il movimento psicanalitico, su cui si è esplicitamente imperniata tanta letteratura moderna, erano il grossolano equivalente[5] di tale rivelazione mistica decadente che assume nei singoli autori tinte piú o meno sensuali e intellettuali, che è piú o meno sentita, ma che mai è remota dalle nuove preoccupazioni artistiche.

Nel romanticismo anche dialettiche spirituali tormentate e mistiche come Novalis, cariche di presentimenti[6], non hanno quel senso acuto e quella convinzione di appartenenza ad un mondo piú vero e privilegiato, non si sentono veggenti al modo con cui si sentono tali i decadenti. Nel romanticismo c’è qualcosa di piú largo, di piú entusiastico (nello stesso idealismo magico, del resto, l’accento batte piú sulla prima che non sulla seconda parola), di meno sottilmente cosciente, di meno assodato. Cosí le ricerche musicali di Tieck hanno una base ingenua: cercare una specie di armonia imitativa, che non ha nulla a che fare con la musica di Verlaine o di Rilke. Appunto perché tutte le nuove ricerche artistiche poggiano su di una nuova base: la coscienza della comune natura misteriosa da cui rifiorisce ogni espressione con caratteri non logici, ma musicali.Quando si batte sulla musica interiore come metodo di conoscenza, sulla musica che viene a noi bagnata del mistero, sul subcosciente (tolgo alla parola subcosciente la precisa significazione freudiana e le do l’abbondante senso di zona misteriosa in cui, per i decadenti, io e non-io trovano la loro comune radice), si può ricostruire subito la genealogia piú diretta dei decadenti. Quei pochi autori che Baudelaire chiamerebbe i phares, per i decadenti sono Schopenhauer, Nietzsche, Wagner, Poe, Baudelaire stesso, dietro i quali, in lontananza, si profila naturalmente tutto il romanticismo nel suo aspetto piú mistico e tormentato. Se si guarda soprattutto al lato tecnico e alla formazione del concetto di poesia pura, si trovano ancora Poe e Baudelaire, e nello sfondo i poeti inglesi del preromanticismo, e Shelley e soprattutto Keats[7]. E per la determinazione del decadentismo è necessaria l’unificazione dei due riferimenti confluenti insieme nella poesia-musica come metodo di conoscenza dell’inconoscibile. In modo che la suddivisione abituale dei simbolisti in voyants e artistes (i primi Lautréamont, Rimbaud ecc., i secondi Mallarmé, Valéry ecc.) si riduce ad un indizio di interessi piú che alla distinzione di due diverse concezioni di poesia.

Degli autori che abbiamo citato come padri di decadentismo, gli ultimi due, Baudelaire e Poe, sono piú nella coscienza nuova e decisamente artisti, mentre Schopenhauer e Nietzsche indicano lo sforzo supremo del romanticismo per rinnovarsi e fondare una nuova civiltà oltre le ideologie tipicamente romantiche. Interessantissimo per il trapasso dallo spirito romantico a quello decadente è senza dubbio Richard Wagner, in cui del resto confluiscono vari toni schopenhaueriani e con cui concorda sensibilmente Baudelaire. Questi, in una lettera rivelata dal Suarès nella «Reveu musicale» del 1 novembre 1922, confessa di aver provato, all’audizione del Lohengrin, delle sensazioni che il suo spirito aveva già provato nell’ordine pittorico: «Enfin j’ai éprouvé aussi, et je vous supplie de ne pas rire, des sensations qui dérivent probablement de la tournure de mon esprit et des mes préoccupations fréquentes. Il y a partout quelque chose d’enlevé et d’enlevant, quelque chose aspirant à monter plus haut, quelque chose de excessif et de superlatif. Par exemple, pour me servir de comparaisons empruntées à la peinture, je suppose devant mes yeux une vaste étendue d’un rouge sombre. Si ce rouge représente la passion, je le vois arriver graduellement, par toutes les transitions de rouge et de rose, à l’incandescence de la fournaise. Il semblerait difficile, impossible même, d’arriver à quelque chose de plus ardent, et cependant une dernière fusée vient tracer un sillon plus blanc sur le blanc qui lui sert de fond. Ce sera, si vous voulez, le cri suprème de l’âme montée à son paroxysme...»[8]. Affinità che si rivela anche[9] a ripensare al bando della nuova poesia, Correspondances, a paragone di certi toni della musica wagneriana, che sembrano riunire sensualità di vario ordine in un’unica espressione essenziale. Anche nella poesia dei libretti (che va veduta però sempre nell’inscindibile unione di Wort-Ton-Drama: stretta unità delle arti che, in una falsificazione dell’unità tragica greca, rappresenta una novità valevole non solo per la musica, ma per tutta la sensibilità nuova) si possono osservare, proprio nel vivo del linguaggio, dei caratteri di una sensualità carica, matura, opulenta, trasposizioni raffinate, corrispondenza di sensazioni sconvolgenti. Si prenda il lamento di Isolde sul cadavere di Tristan, si noti come Tristan rivive nelle parole dell’amata, carnalmente, con tutto il mistero delle sensazioni musicalizzate e portate ad un grado di valore mistico. Non vedete

wie das Herz ihm

mutig schwillt,

voll und hehr

im Busen ihm quillt?

Wie den Lippen

wonnig mild,

süsser Atem

sanft entweht...

Heller schallend

mich umwallend,

sind es Wellen

sanfter Lüfte?

Sind es Wogen

wonniger Düfte?

Wie sie schwellen,

mich umrauschen,

soll ich atmen,

soll ich lauschen?

Soll ich schlürfen,

untertauchen?

Süss im Düften

mich verhauchen?

Per quanto ci sia nella poesia lo spunto necessario per la musica, c’è già però nello stesso libretto la preoccupazione musicale di rendere chiara, con la musica sensuale delle parole, la nascita oscura dell’arte.

Eppure in Wagner permane un che di ingenuo, di prebaudelairiano, che ce lo fa sentire ancora estremamente romantico. C’è anche in lui un entusiasmo clamoroso (la razza germanica, i miti) che ai decadenti veri e propri sarebbe spiaciuto e sua vera eredità era quella che nell’Hommage à R. Wagner[10] Mallarmé sottolineava:

Le dieu Richard Wagner irradiant un sacre

mal tu par l’encre même en sanglots sybillins.

Si sa appunto come la musica wagneriana diventasse, nella Parigi dell’inizio del decadentismo, predilezione e segnacolo delle nuove correnti. Ché è in Francia che si incentrano queste concrete aspirazioni di novità e che l’influenza di Wagner o di Poe trova un terreno, un’attenzione, una volontà di comprensione che non ottengono nelle loro nazioni. Era infatti vivo nella letteratura francese il bisogno di spezzare quel certo suo tono tra sociale, moralistico, didattico, bisogno che si esprime cosí, in una esplosione di puro carattere lirico[11]. C’è il tentativo intellettuale di Sainte-Beuve e la reazione antiromantica parnassiana, che è, a sua volta, un altro passo su di una linea concreta per la conquista delle nuove posizioni. C’è nei parnassiani un forte preziosismo e d’altronde un po’ di quella sensualità ragionata baudelairiana, che è il preludio piú certo ad una poesia radicata nell’inconscio. Essi sono come l’esagerazione decadente del classicismo: l’esagerato amore della parola non è classico, il marmoréen, l’atteggiamento stesso stoicizzante, impassibile, son forme decadenti; e non c’è nei parnassiani un’accentuazione tutta musicale della poésie-raison? Il loro compito fu soprattutto di eliminare il provvisorio caotico del romanticismo, dare il gusto della parola, stabilire una concretezza nuova, un piano di tecnica linguistica su cui il simbolismo poté costruire le sue piú audaci ed antiparnassiane finezze.

Ma il piú lo fece Baudelaire, di cui Suarès disse giustamente: «Il est une façon de sentir avant Baudelaire et une façon de sentir après lui».

L’importanza di Baudelaire per il decadentismo è massiccia. Baudelaire «accepte tout l’homme moderne», come disse Banville. Naturalmente si potrebbe obbiettare che questo tutt’intero è viceversa solo un rovescio della medaglia, l’abisso oscuro da cui, per i decadenti, sorgiamo; ma è certo che questa parzialità ha spinto lo sguardo, in vista soprattutto di un mondo poetico, verso regioni dello spirito da cui i classici si tennero costantemente lontani. Per il primo, Baudelaire si contrappone ai romantici e ai classici distinguendo la poesia dalla passione che è l’ivresse du coeur, dalla verità che è la pâture de la raison, e soprattutto coordinando, su di una sensibilità francese ed europea insieme, le intuizioni di Poe, di Nerval, di Novalis, di Wagner. Ha costruito cosí una poetica e tutto un mondo nuovo che separa nettamente le nuove possibilità di poesia dai modi passati: «Il existe aujourd’hui une tradition esthétique fondée par les Fleurs du mal à laquelle se rattachent des poètes pour qui l’aventure humaine vécue par Baudelaire demeure probablement une simple curiosité» (Raymond). Di fronte a lui quella che pareva l’influenza piú duratura della poesia francese, l’influenza hughiana, impallidisce sensibilmente. Anzi si può dire che l’influenza hughiana si limita in quanto la poesia del poeta romantico ha qualche soffio di nuova sensibilità di mistero, di stupefazione e di musica.

Dopo Baudelaire e quella sua tragica saldezza, quella sua specie di incorruttibilità morale, il carattere dell’unità e dello scambio fra arte e vita si accentua, e si scavano sempre piú audacemente, e coerentemente al nuovo senso della musica e dell’oscurità originale, le sue scoperte di sensazioni: insomma se Correspondances enunciava lo scambio delle sensazioni, i decadenti sopprimono l’enunciazione, danno direttamente il canto del nuovo mondo multiforme e mistico. L’analogia di Mallarmé nasce precisamente da un approfondimento mistico della corrispondenza baudelairiana: questa era coscienza della similarità delle sensazioni; l’analogia brucia il passaggio, vuol essere un amore cosí profondo tra le cose, un’unità cosí originaria, che una evocazione possa suggerire addirittura l’assenza della propria sensazione base: «Je dis: une fleur! et hors l’oubli oú ma voix relégue aucun contour, en tant que quelque chose d’autre par les calices su, musicalment se lève, idée même et suave, l’absence de tout bouquet» (Divagations).

È sempre sulla linea di Baudelaire che sorgono, oltre Mallarmé, i due poeti piú importanti per la formazione d’una diffusa civiltà letteraria decadente nell’ambito dell’europeismo francese: Verlaine e Rimbaud, e lo spirito che ha agito a lungo sotterraneamente e poi efficacissimo sin nell’ultimo surrealismo: Lautréamont. Questi, nella sua enfasi ancora romantica, aveva compreso per intuizione i fondamenti del nuovo mondo poetico di cui egli costituisce come la coscienza rapsodica. Gli altri due, temperamenti antitetici, hanno agito assai diversamente: l’uno soprattutto per una musica leggera, per un senso del canto che pochi poeti francesi hanno avuto e per un languore decadente che ha prodotto tutta una maniera tra candore e stanchezza; l’altro per l’efficacia di una poetica convertita in pratica, per l’impeto e la novità («il faut absolument être moderne») della sua espressione allucinata. Verlaine ha portato un nuovo sentimento della musica che nasce, senza che egli se ne sia fatto un problema spirituale (è il piú «natura» dei decadenti), sempre da quel regno di misticismo sensibile che è la miniera inesauribile di tutti questi poeti:

L’échelonnement des haies

moutonne à l’infini, mer

claire dans le brouillard clair

qui sent bon les jeunes baies.

Des arbres et des moulins

sont légers sur le vert tendre

oú vient s’ébattre et s’étendre

l’agilité des poulains.

(Sagesse, III, 13).

Rimbaud, con una violenza senza precedenti, significò soprattutto l’ebbrezza della modernità e della padronanza del mondo piú segreto e piú rivoluzionario attraverso la padronanza delle immagini:

Je sais les cieux crevant en éclairs, et les trombes

et les ressacs et les courants: je sais le soir,

l’Aube exaltée ainsi qu’un peuple de colombes,

et j’ai vu quelquefois ce que l’homme a cru voir!

(Le bateau ivre).

Mallarmé poi è fondamentale, indispensabile per la comprensione del simbolismo integrale, e rappresenta direttamente la maggiore influenza francese su tutto il decadentismo europeo. Baudelaire aveva in certo senso riassunto le esperienze europee; Mallarmé dà invece piú di ogni altro al simbolismo una capacità di espansione europea[12]. Nessun poeta aveva finora condotto il problema della poesia come rivelazione alla precisione assoluta cui la condusse Mallarmé, il quale si può dire crei quella ricchezza ed esattezza di poetica, che permette il formarsi di una tradizione letteraria: egli è un po’ il Petrarca del decadentismo.

Dotato di una passione intellettuale pari all’estrema sensibilità, Mallarmé è riuscito a conciliare nella sua opera di poesia una tendenza a giustificare l’improvvisazione, il caso, la superiorità dell’inconscio, con un dominio assoluto della tecnica. La sua intelligenza rigorosa, e un senso metafisico dell’analogia, danno alla sua poesia una purificazione che i decadenti sentirono come soluzione di un problema comune a tutti, fra tecnica e morale.

La sua scuola perciò fu sentita in tutta Europa e basterà accennare ad un poeta tedesco, al Rilke, per comprendere la necessità storica di Mallarmé e delle sue scoperte:

Du machst mich allein. Dich einzig kann ich vertauschen.

Eine Weile bist du’s, dann wieder ist es das Rauschen.

Oder es ist ein Duft ohne Rest.

L’intima forza del vocabolo, cui si vuol conservare l’origine mistica ed unitaria, trattiene l’insegnamento della poetica mallarmeana.

In questo senso ci sarebbero da far molte ricerche sull’importanza di Mallarmé per il decadentismo europeo, ma noi cerchiamo solamente di determinare i limiti storici di un clima poetico e le direttive che in esso le singole personalità, quelle che poi effettivamente contano in sede estetica, legiferano e seguono.

Dopo Mallarmé diventa quindi anche piú inutile una distinzione di decadenti e simbolisti come di due scuole diverse, e ci si muove ormai in un clima completo e costante.

Tutte le azioni e reazioni, da Mallarmé in poi, tutte le pretese rivolte e ricerche di ordine (dall’école romane a dada e al surrealismo) sono nell’ambito del decadentismo né piú né meno dei simbolisti, dei neosimbolisti e di tutte le scuole che esplicitamente si ricollegano alla tradizione Baudelaire-Rimbaud-Mallarmé. A tutti è presente, anche se inconsciamente, l’insegnamento che emana da Correspondances, dal Bateau ivre, dalla Prose pour Des Esseintes.

In tutti i poeti che seguono ai primi grandi decadenti, c’è lo stesso senso della profondità della vita, una certa intuizione del mistero e dell’al di là delle cose, una volontà di cogliere la poesia nella sua essenza e di liberarla dal didascalismo e dal sentimentalismo, che, specialmente in Francia, l’avevano minata. Accanto a questo approfondimento, i piú fiacchi deviano facilmente in un facile estetismo, che trova le sue origini piú vere nel parnassismo. Le soluzioni diventano diversissime, si reagisce ferocemente al «brouillard symboliste», si lanciano bandi di neoclassicismo, di naturismo, ma in realtà il clima è sempre quello decadente, come d’altra parte non si può certo dire in senso assoluto che manchino ai grandi decadenti combattuti quelle virtú di tipo classicista che i rivoltosi sbandieravano: l’importanza che prende il problema dell’espressione è un punto di contatto con l’estremo insegnamento di forma dei classicisti.

Solitudini musicali, vita di simboli, volti del silenzio, poesia mezzo di conoscenza, sono sempre i veri punti di ritrovo dei metodi poetici in Francia e nelle nazioni che hanno maturato un animus decadente.

Il decadentismo, nato da un bisogno europeo precisatosi nel cerchio francese, si è nuovamente sparso, come una poetica koinè, in fine di secolo, in tutta Europa.

Si è formata cosí una civiltà poetica che si distacca potentemente, con una forza di novità che è sembrata sovversione, dalle precedenti civiltà classiche e romantiche.

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Decadentismo, poesia pura, poesia classicista. Si è sviluppato eccezionalmente nell’ultimo ventennio l’uso dell’espressione «poesia pura», o parlando dei poeti decadenti piú raffinati o piú propriamente a proposito di certe sottili speculazioni tra filosofiche, mistiche e artistiche. Per approfittare delle indagini di Henry Bremond[13], poesia pura sarebbe come la corrente elettrica che non si identifica col filo in cui passa e che non possiamo cogliere in maniera tangibile. Sarebbe cosí quel quid, quel tono che è poi per noi l’accento speciale della personalità poetica nel suo grado piú intimo ed assoluto. Ma l’aggettivo «pura» ha un valore polemico: bandisce un programma d’arte nuova piú che chiarire una categoria estetica. Un programma che può diventare disumano ed arido, se per attingere la corrente nella sua purezza massima si spezza il filo, ma che insomma significa il risultato di una lenta elaborazione durata tutto l’Ottocento e il primo trentennio del nostro secolo. E che va preso sul serio nel suo valore di affinamento di una idea ormai comune: che la poesia deve essere solo poesia.

Ma noi non vogliamo giudicare in sé e per sé il concetto di poesia pura, quanto farne vedere la centralità nel tempo decadente e mostrare brevemente come la sua formazione corrisponda alla formazione stessa del decadentismo.

È nell’ultimo Settecento inglese che nelle speculazioni di idealismo platonico la bellezza assume un valore autonomo e appare diversa dal «bello» tradizionale, e sono i poeti inglesi contemporaneamente a Novalis a far sulla poesia pura le piú luminose scoperte: Blake, Coleridge, Shelley, Keats. Si sa quanta importanza abbia avuto, non solo come aspirazione ma come concetto di realtà trascendente l’atto creativo stesso, la poesia pura in Baudelaire e nei decadenti francesi fino a Mallarmé e al suo discepolo Valéry che le ha dato la piú grande attualità. Con Valéry il concetto s’è completamente liberato e messo in mostra, come l’anima finalmente trovata della poesia. Se Mallarmé ha raggiunto la poesia pura con un ascetismo di esperienza, Valéry fa l’effetto di esser partito senz’altro dalla coscienza della poesia pura, di una speculazione sulla poesia, e d’esser perciò tanto piú astratto ed intellettuale del maestro.

La poesia pura è diventata cosí, liberata e teorizzata, un idolo intorno al quale è scoppiata una delle piú grosse e interessanti polemiche letterarie del Novecento: iniziatasi all’Accademia francese con il discorso dell’abbé Bremond, s’è poi sparsa per tutto il mondo letterario ed ha dato la misura dell’estrema raffinatezza cui è giunta la coscienza decadente. La poesia pura implica naturalmente tutta una concezione della vita e una teoria della conoscenza, una fede nell’ineffabile, nel subcosciente, che, chiarito il problema, mette a repentaglio la concordia dei suoi sostenitori: che sono cattolici, che sono realisti, che sono idealisti. Il punto in cui tutti si ritrovano, è un sostanziale misticismo, che avemmo a notare come fondamentale in tutto il decadentismo.

Ma quando persone come il Bremond hanno esplicitamente accennato ad una forma di poesia pura (Prière et poésie[14]), si sono scoperte le differenze fra i vari cultori della poesia pura. Forse questa chiarificazione e questo, diciamo pure, esercizio sofistico sulla poesia pura prelude ad un ulteriore periodo, in cui altri valori interverranno nella determinazione dell’essenza poetica. Certo è che, di fronte alla sincera, immediata coscienza di poesia pura dell’epoca mallarmeana, chiarificazioni come quelle del Bremond, se fanno comprendere sempre piú al critico l’importanza del misticismo nella poesia nuova, rappresentano una decadenza, un infiacchimento, una perdita dell’immediata fiducia nativa.

A noi però interessano la comunicazione del Bremond all’Accademia di Francia, e le discussioni che le seguirono, soprattutto per rendere nel modo piú decisivo l’opposizione che corre fra l’estetica decadente e l’estetica classicista, le quali non possono non convertirsi in poetica decadente e poetica classicista. Basterà ricordare qualche frase principale dell’Art poétique di Boileau, per sentire che cosa abbia significato per la poetica moderna non tanto il romanticismo vero e proprio, quanto la rivoluzione decadente, come ci si trovi in un altro mondo di sensibilità e di intelligenza, come il decadentismo porti con sé un acquisto, discutibile quanto si vuole, ma certamente preciso e positivo.

Premetto che la posizione polemica, che lo stesso Bremond e in genere i trattatisti moderni prendono di fronte al classicismo, è di una partigianeria senza pari e dimentica come ogni poetica sia da vedersi non oggettivamente, ma in relazione con la reale poesia cui corrisponde: non c’è poetica buona o cattiva, ma poesia vera e falsa poesia. Invece per i difensori della poesia pura tutta l’antica poetica, in blocco, è semplicemente una retorica, un grande abbaglio di spiriti borghesi che presero per poesia ciò che con la poesia non ha nulla a che vedere: concetto, sentimentalismo, racconto.

L’utilità di Boileau sta proprio nell’aver codificato in termini estremi tutta una mentalità, superata naturalmente nell’arte di un Racine o di un Molière, ma ampiamente diffusa nei secoli del classicismo e, per contrasto, in molti romantici; mentalità specificamente francese[15], ma genericamente di ogni classicismo. Anche la grande diffusione che ebbe l’Ars poétique in tutta Europa (tipico il caso di Pope per l’Inghilterra) esclude che essa sia solo la poetica di un poeta fallito. Considerandola come una vigorosa somma dei precetti piú comuni nell’ambito del classicismo (il che si vede anche dalla vicinanza alla poetica oraziana, che è il continuo modello di Boileau), noi ci troviamo appunto i caratteri piú antitetici, e perciò chiarificatori, della poetica decadente. Quali sono i principi essenziali dell’Art poétique? Accanto a consigli retorici, scolastici spiccano le parole piú gravi: raison, vérité, nature, bon sens:

Quelque sujet qu’on traite, ou plaisant ou sublime,

que toujours le bon sens s’accorde avec la rime:

[...]

Aimez donc la raison: que toujours vos écrits

empruntent d’elle seule et leur lustre et leur prix.

Tout doit tendre au bon sens...

[...]

Jamais au spectateur n’offrez rien d’incroyable:

le vrai peut quelquefois n’être pas vraisemblable.

Une merveille absurde est pour moi sans appas:

l’esprit n’est point ému de ce qu’il ne croit pas.

Aux dépens du bon sens gardez de plaisanter:

jamais de la nature il ne faut s’écarter.

È evidente qui la presenza della raison cartesiana chiara e distinta, nella sua applicazione poetica.

I romantici non si erano completamente sottratti a questa poetica, contrastando sempre intorno a verità e ragione: la vera rivoluzione doveva essere un sovvertimento di questi valori, un nuovo punto di vista sulla vita e sulla poesia. Anzitutto spezzare questa concezione della poesia, sociale, didattica, moralista, puritana nel suo bisogno di verità e chiarezza, e, in fondo in fondo, edonistica («n’offrez rien au lecteur que ce qui peut lui plaire»), poi trasportare l’originalità fuori dell’incontro di pensieri chiari e di musicalità o sonorità ben ordinata, coerente, e portare tutto nella musica come rivelazione, accentuando cosí da un lato l’approfondimento di un regno ignoto ai classicisti, e dall’altro eliminando ogni pericolo di ornatus, di decoratività esterna.

Musica interiore ed evocatrice quindi, contro chiara ragione enunciata con armoniosità di verso.

Anche scendendo nella precettistica piú particolarmente tecnica, le differenze sono al solito innumerevoli, capaci di farci sentire la novità (anche tenuto conto del precedente romanticismo) della poetica decadente. Per esempio, dove Boileau dice:

Que le début, la fin repondent au milieu,

la poetica decadente risponderebbe che non esiste principio o fine, che non c’è proporzione di parti, ma che ogni verso è un organismo; che una poesia può, musicalmente, durare e spengersi senza regola esterna, vivendo il centro per tutto, come il dio mistico in ogni frammento del mondo. Si pensi alla Pioggia nel pineto, si pensi come a caso estremo, quasi ad ironizzazione della maniera, a Passeggiata di Palazzeschi. La costruzione è un’atmosfera musicale, non un’architettura ordinata dalla ragione. E dove, imitando Orazio («sed non ut placidis coëant immitia, non ut / serpentes avibus geminentur, tigribus agni»), Boileau proclama il precetto della convenienza, la poetica decadente risponde ignorando il problema come problema di racconto e contenuto.

Nei libri del Bremond la rivolta al classicismo è completa e il tono strettamente decadente, anche se l’abate francese crede di uscirne contrapponendosi a Valéry, estremo rappresentante del mallarmismo. Mentre in realtà la risoluzione di Poésie-musique e Poésie-raison in Poésie-prière resta sempre sul piano della poetica-decadente, poiché la musica per i decadenti non è che essenziale contatto col divino, col misterioso, un istrumento di conoscenza soprarazionale, mistica, come la preghiera. Ci siamo serviti di quei libri come dell’affermazione piú tipica e clamorosa di una posizione decadente circa quella nozione di poesia pura che rappresenta il massimo allontanamento da una letteratura didattica e altamente oratoria come la poesia classicista.

Cosí pure ci siamo serviti agli stessi scopi del confronto con Boileau, per far rilevare i caratteri di novità e di travolgimento della poetica decadente, che vuol fare della poesia addirittura una attività qualitativamente diversa dalla poesia del passato.

***

La poetica del decadentismo. Chi volesse tracciare una caratteristica della poetica decadente in generale, si troverebbe certo di fronte a grandi divergenze, a metodi almeno apparentemente contrastanti, e, per non incorrere nel pericolo di fare opera astratta e provvisoria, dovrebbe addirittura ridursi a descrivere le singole poetiche dei singoli artisti.

Lo stesso avverrebbe a chi si proponesse una poetica del romanticismo: Keats, Novalis, Hugo, Manzoni, De Vigny e Chateaubriand... Ma riconoscendo teoricamente l’impossibilità di quest’assunto, rimane l’utilità del pretesto per accostare modi di vari poeti affini e la certezza che di un determinato clima poetico si viene a sentire il tono comune, in diversa misura, a tutti gli artisti che vi appartengono. Ricordandosi, soprattutto, come si tratti di valutazione critica, non di condanna o di apologia di carattere moralistico.

Il principio essenziale della poetica decadente è, come dicemmo altrove, la costatazione d’un mondo nuovo, d’una regione dello spirito inesplorata e basilare per ogni conoscenza e per ogni morale; la scoperta dello jenseits der Dinge come della radice vera della nuova poesia. Lo spostamento dell’attenzione umana dei poeti dalle cose nella loro realtà non sotterranea e dall’investigazione dell’uomo come struttura autonoma, chiaramente conosciuta nella sua vita di sentimenti, ad un unico approfondimento metempirico e pur sensuale da cui si spiegano, con sottili legami, tutte le cose nella loro vera essenza e l’io umano nella sua complessità di presentimenti, di stati prepsicologici, implica già di per sé tutta una nuova concezione della poesia e una nuova poetica.

Per i classici il poeta era il conoscitore del cuore umano, per i romantici il cuore stesso, per i decadenti è la coscienza musicale di un’interiorità cosí profonda da confondersi col mistero.

A questa visione nuova del reale ha contribuito potentemente l’idealismo postkantiano, che è divenuto, nella deformazione della poetica, incredulità del mondo esteriore se esso non parte da quella radice da cui rampolla l’io del poeta[16]. Il quale, secondo le parole di Rimbaud, «définira la quantité d’inconnu s’éveillant en son temps dans l’âme universelle» e costituirà cosí un tipo di vate moderno senz’altra retorica e senz’altro vaticinio che non sia la rivelazione dell’ignoto celato sotto il mondo degli affetti. Si noterà subito come l’ala dei decadenti meno intellettuali, piú languidi, si distingue da Mallarmé e da Rimbaud[17], ma sta di fatto che anch’essi in modo meno tormentato, con una loro diversa psicologia, esprimono però sostanzialmente lo stesso senso del mistero e del reale come creazione del subcosciente. Su tutti gli scritti decadenti incombe un silenzio che non è risultato di una deficienza di linguaggio, ma che anzi si riconosce proprio nelle parole che esprimono il mondo piú intimo del poeta. Dato questo nuovo senso del mondo sensibile e spirituale e della poesia, è proprio il concetto di creazione che subisce una trasformazione radicale: come in morale il decadentismo porta ad una morale eroica (il superuomo, il dandy) distinta da quella dei comuni mortali, cosí in poetica creazione viene a significare creazione ex nihilo, creazione d’un nuovo mondo rappreso magari in una sola parola, creazione che deve valere in senso assoluto, oltre il senso inevitabilmente creativo che non può non avere ogni nuova espressione artistica.

La novità urge, insieme alla volontà di assolutezza, tutti questi poeti fino a diventare nel futurismo l’unica pietra di paragone per riconoscere l’arte. E alla novità segue il massimo disprezzo per il passato, per quella specie di ammaestramento dei classici che serviva quasi a dare una patina arcaica ai poeti tradizionali.

Maeterlinck è il poeta che piú direttamente ha fatto del mistero un problema di espressione ed ha orientato la sua poetica a rendere nelle cose un’assenza, cioè il mistero, tra pauroso e divino: «La haute poésie, à la regarder de près, se compose de trois éléments principaux. D’abord la beauté verbale, ensuite la contemplation et la peinture passionelle de ce qui existe réellement autour de nous et en nous-mêmes, et enfin, enveloppant l’oeuvre entière, et créant son atmosphère propre, l’idée que le poète se fait de l’inconnu dans lequel flottent les êtres et les choses du mystère qui les domine et les juge et qui préside à leurs destinées. Il ne me parait pas douteux que ce dernier élément est le plus important» (Préface au Théâtre).

Ma se anche non cosí centralmente e in vari modi, il mistero, il margine dell’ignoto, la porta contro cui batte Tintagiles, non manca a nessun decadente. Come rendere il mistero e il terrore del mistero? Lo insegnò magistralmente Poe nel Corvo e in Ulalume, e quei ritornelli lugubri, quelle esclamazioni lunghissime, ad eco, ritornano nel Rossetti di Sorella Elena («Madre santa d’Iddio / tre notti, tre dí fra l’inferno e il cielo»)[18], o nel Maeterlinck lirico crepuscolare delle Douze chansons.

È sempre una conseguenza del concetto di poesia come rivelazione del mistero e insieme come affermazione dell’«universale analogia», che lega tutti nell’unica radice, l’accezione della musica come unico mezzo conoscitivo, attività germinale ed alogica. Tanto che, perfino nella scelta dei soggetti, spessissimo i decadenti si valgono dell’atmosfera prodotta da esecuzioni musicali, quasi che dalla suggestione del brano descritto sperino una maggiore efficacia sublimante: il Trionfo della morte di D’Annunzio, il Tristan di Thomas Mann.

In studi di poetica bisogna tener inoltre d’occhio anche le preferenze di soggetto: per i decadenti si potrebbe tracciare una geografia psicologica, complicatissima e raffinata. E qui per limitarci ad un solo esempio, basti ricordare come fra tutte le relazioni sessuali essi prediligano l’incesto che ha maggior forza di novità e di ribellione alla legge comune.

Scelgono gli ambienti piú raffinati e piú morbidi, la storia nei suoi momenti barbarici o estenuati: Bisanzio o le orde. Il tipo di donna è ancor piú malata, esangue, trasumanata e insieme feroce che non la belle dame sans merci della letteratura romantica: è la grausame Geliebte di Wedekind. E si sa che si potrebbe durare a lungo in questa descrizione della scelta dei decadenti. Come si potrebbe a lungo parlare dell’impostazione decadente della vita: è fondamentale lo scambio che i decadenti operano fra arte e vita, facendo dell’arte una morale, un metodo di salvazione, e della morale un’arte, un’armonia estetica ed eticamente spregiudicata[19]. Cosí, mentre da un lato i decadenti epurano la poesia da tutto ciò che non lo è (oratoria, morale), i loro componimenti sono viceversa aggravati da un fitto alone psicologico[20]. Ma tutto ciò non ci dice tanto, quanto la costatazione che dal regno del mistero, dell’ignoto è la musica poeticamente, e la sensazione individualmente, che ci sollevano.

La sensazione è fatta esponente di tutto un moto spirituale, cresce, si trasvalora in quello speciale stadio di misticismo in cui vivono i decadenti. E la sensazione ci riporta ancora a quella preminenza di psicologia che, nolenti, questi poeti devono subire: gioia, se c’è la presenza divina della sensazione (Swinburne), malinconia, se la sensazione impallidisce e manca (crepuscolari). In questo campo di speciali sensazioni che siano significazioni del mistero, non si può parlare di espressione quanto di suggestione: suggerire, arrivare a un senso che nasce dalla collaborazione con il lettore, dalla sua sensibilità simpatica, da uno sforzo che continua quello del poeta, e quindi servirsi di tutti gli stimoli piú utili e piú esterni fino a quelli tipografici: variazioni di caratteri, parole isolate in pagine bianche, di cui l’ultimo Mallarmé si serví per la sua estrema prova di esasperato simbolismo: «un coup de dés jamais n’abolira le hasard».

Su questo misticismo delle sensazioni fisiche (secondo la felice espressione di Lionello Venturi, usata nel Gusto dei primitivi a proposito dei preraffaelliti) si imperniano tutti i vari e personali tecnicismi che coincidono nell’aspirazione alla musica e alla potenza evocativa della parola.

Perciò i decadenti non si curano di altro intreccio, di altro contenuto che non sia la pura sensazione; evitano ogni costruzione, ogni armonia di architettura: il centro è dovunque, è in ogni punto della periferia, dove una parola abbia efficacia di suggestione. Il pezzo vale cosí come l’insieme, e non è istruttivo che il Cimetière marin di Valéry, in due diverse edizioni, si sia presentato con un ordine spostato di strofe? E un critico aggiunge: «Quoi d’étonnant puisqu’il n’y a pas poème, mais une suite de pétits poèmes locaux, chacun faisant une strophe, dont la place par conséquent importe peu!»[21]. Solo che il critico sbaglia dicendo che poema non c’è: si deve invece dire che non c’è poema nel senso tradizionale.

Poiché è un’atmosfera, la poesia dei decadenti può (l’ironizziamo) durare un secondo o un secolo come le rêveries debussyane che si ripetono, si aggirano ascoltandosi e potrebbero prolungarsi oltre il termine imposto loro dall’autore. Dato che l’essenziale è condurre lo spirito a un ordine di intuizioni che siano allusione a un’unità nascosta, serve a ciò una scrittura sommaria, quasi di geroglifici, certo di simboli, oscuri (ma l’oscurità vera non esiste che in senso estetico ed allora è il brutto, la cattiva poesia) se non si entra nel mondo del poeta e non si comprende quel suo speciale frasario che si imprime con intenzioni di certezza magica:

Oui, dans une île que l’air charge

de vues et non de visions,

toute fleur s’étalait plus large

sans que nous en devisions.

(Mallarmé, Prose pur Des Esseintes).

Il metodo d’espressione acquista nei decadenti piú sottili tanto piú musica interiore per quanto maggiore evidenza di assolutezza. E non si creda che in poeti come i fiamminghi manchi, sotto l’abbandono delle nostalgie musicali, una certezza evocativa ed iniziatica:

La pluie est un filet pour nos rêves anciens!

Et soudain, comme un coup d’une invisible lame,

la lune est une plaie ouverte à son flanc noir.

(Rodenbach).

Ritorna sempre in tutti i decadenti, piú o meno esplicita, quella competenza sull’assoluto di cui si vantava Mallarmé[22] e l’inerente esasperazione della lirica come traduzione dell’ineffabile. L’orgoglio dell’artista puro si confonde con l’orgoglio del rivelatore dei nuovi mondi. Da un lato, ma entro gli stessi poeti, c’è l’atteggiamento estatico dell’artista:

... imiter le chinois au coeur limpide et fin

de qui l’extase pure est de peindre la fin

sur ses tasses de neige à la lune ravie

d’une bizarre fleur qui parfume sa vie

transparente, la fleur qu’il a sentie, enfant,

au filigrane bleu de l’âme se greffant.

(Mallarmé, «Las de l’amer repos...»)

e, dall’altro, l’atteggiamento ébloui del veggente:

et j’ai vu quelquefois ce que l’homme a cru voir!

J’ai vu le soleil basa taché d’horreurs mystiques...

j’ai rêvé la nuit verte aux neiges éblouies...

j’ai heurté, savez-vous, d’incroyables Florides...

(Rimbaud, Le bateau ivre).

Per raggiungere questa nuova pienezza, le tecniche, ripeto, divergeranno, ma il fondamento sarà sempre la comune ricerca della musica e dell’assoluto inconscio. Ci sarà cosí una tecnica che farà capo a Mallarmé (la piú decisiva), una a Rimbaud, una a Laforgue, una diffusissima di Verlaine, una dei preraffaelliti (patinatura estenuata di primitivi su raffinate sensazioni di svenimento), una di D’Annunzio o di Swinburne (estremo erotismo che si brucia in musica), ma precetti come molti dell’Art poétique di Verlaine:

De la musique avant toute chose...

Prends l’éloquence et tords-lui son cou!...

Que ton vers soit la chose envolée...

come la strofa centrale della Prose pour Des Esseintes:

Gloire du long desir, Idées

tout en moi s’éxaltait de voir

la famille des iridées

surgir à ce nouveau devoir

sono comuni e valevoli per tutti i decadenti.

La poetica decadente arriva cosí ad una antitesi positiva di quella classica, ad una differenziazione essenziale da quella romantica: mentre quella classica vuole trionfo di serenità su sentimento, mentre quella romantica vive di slanci, di affermazioni intense della personalità, quella decadente costruisce una pura atmosfera musicale che porta l’eco di un nuovo e misterioso mondo ignoto agli antichi.

***

Il decadentismo in Italia. Abbiamo rapidamente visto che senso si debba dare in uno studio di questo genere alla parola poetica (intenzioni, modi cari al cuore del poeta, precetti che egli potrebbe staccare da sé in veste di maestro, contributo della sua intellettualità alla immediatezza della sua sensibilità) e come sia utile parlare, in uno studio sul decadentismo, piú di poetica che di poesia. Infatti l’esame della nuova poetica isola il decadentismo piú profondamente che una pura valutazione estetica delle singole personalità, e lo vede piú che nelle «nature», nella mentalità generale, in ciò che forma il suo clima.

Abbiamo determinato cosí i limiti dell’espressione «decadentismo», svalutando ogni posizione di condanna ed ogni confusione con «decadenza» in genere, e con «decadenza di romanticismo» in particolare, e affermando come essenziale per questo studio una posizione storica che accolga il decadentismo nella stessa maniera con cui viene accolta l’espressione «romanticismo»: cioè come periodo storico individuato da certi speciali caratteri. I quali, in sostanza, si riducono ad un contemporaneo approfondimento del mondo e dell’io fino alla scoperta di un regno metempirico e metaspirituale, da cui le cose e le personalità germogliano con un senso nuovo, con un’anima nuova.

Da questa rivelazione di un nuovo senso della vita nasce una poetica che abbiamo articolato nei vari caratteri comuni ai singoli artisti, e che consiste soprattutto nella ricerca della musica come mezzo di conoscenza sopralogica, mistica. Misticismo, rivelazione, suggestione, evocazione sono infatti le parole che il critico è necessitato ad adoperare nel riprodurre le linee, i connotati di questa poetica.

La nuova mentalità si è formata lentamente dal preromanticismo in poi, attraverso certi lati mistici, e il contributo di alcuni particolari romanticismi (quello di Novalis, o Keats, o Pope), fino a manifestarsi chiaramente, nella metà dell’Ottocento, con quelli che possiamo chiamare i padri del decadentismo (Wagner, Schopenhauer, Nietzsche, Poe, Baudelaire), e a prendere completa coscienza nella Francia postbaudelairiana di Rimbaud, Verlaine, Mallarmé.

Dalla Francia[23] il decadentismo si riespande con maggiore forza nelle nazioni che, come l’Inghilterra, erano già preparate per conto loro, e in quelle che, come l’Italia, erano scarsamente europee e fortemente tradizionali.

L’Italia si trova in una posizione specialissima rispetto alla Francia, all’Inghilterra, alla Germania, in quanto che manca di un diffuso e sfrenato romanticismo, di tentativi romantici che possano paragonarsi a quelli di un Novalis o di un Coleridge. Manca di uno sfogo romantico, di una tradizione d’avventura e di rivolta, di cui i nuovi poeti potessero valersi. D’altra parte nella letteratura italiana era tenacissima una tradizione secolare, riportabile a quel letterato superiore che fu il Petrarca, che il romanticismo non riuscí ancora a spezzare se la ritroviamo nella sua ultima e piú intensa applicazione nella poesia del Leopardi. Questa tradizione aulica, decorosa non era piú sentita dal di dentro, e pesava oppressiva, non amata e pur patita, sui poeti del secondo Ottocento. In tutti, piú o meno, c’è la volontà di novità e l’insofferenza della tradizione, ma si tratta piú che altro, appunto, di velleità, non di consapevoli superamenti. Spiccano, fra tutti, gli incerti ribelli, gli «scapigliati», i quali, per primi, si accostano anche alle nuove correnti straniere, a Baudelaire soprattutto, ed assumono, per primi, atteggiamenti pratici di impronta goffamente decadente. Perché, per mancanza di maturità, tutti i predannunziani si limitano a volere il nuovo, a fiutare, senza capirli, gli stranieri, e, in sostanza, a ribellarsi alla tradizione, equivocando contenutisticamente sul decoroso classico e sulla libertà moderna. E non hanno quindi che negativamente un senso rivoluzionario, sí che ricadono di continuo nei piú ingenui romanticismi e negli schemi tradizionali malamente stravolti.

In tutti è chiaro il dissidio irrisolto fra i residui del passato e l’aspirazione al nuovo, e in tutti si sente, man mano che ci si avvicina a D’Annunzio, un progressivo accentuarsi di tono decadente, un concretarsi teorico e pratico del bisogno musicale come degli atteggiamenti, delle situazioni piú propriamente decadenti.

Che posto occupa il Carducci in questa evoluzione della nostra letteratura? Si sarebbe tentati di dargli un valore tra di Hugo e del «Parnasse», facendone cosí un anello della nostra storia (come tentò il Petrini)[24], ma, a ragion veduta, sentiamo la necessità di isolarlo e di riattaccarlo sempre piú al romanticismo che non al nuovo, al decadentismo. Perché nel suo solido mondo poetico mancano, se non si vogliono cercare a bella posta dei frammenti falsando lo spirito dell’insieme, spunti di una nuova sensibilità, di una sensibilità che superi quella del romanticismo italiano.

Il decadentismo italiano invece comincia con Gabriele D’Annunzio e con Giovanni Pascoli. Ma bisogna subito dire che, anche con questi due poeti, il decadentismo italiano è ancora limitato, stretto in un’atmosfera provinciale che si spezzerà davvero solo nel Novecento. Ad ogni modo, mentre prima non si poteva parlare di vere, organiche poetiche decadenti, D’Annunzio e Pascoli ci offrono due poetiche, che se mancano di quel complesso intellettualismo che abbiamo osservato tra i francesi, debbono pur dirsi sostanzialmente animate dal nuovo spirito postromantico.

D’Annunzio importa piú direttamente un contatto con la letteratura straniera ampiamente sfruttata, mentre Pascoli indica un decadentismo indigeno che prova la diffusione lenta, ma sicura d’uno stesso spirito poetico nelle varie letterature. La poetica di D’Annunzio, chiara in tutte le sue opere, prende vari coloriti a seconda delle sue vicinanze spirituali e dei tentativi di evasione da se stesso, ed è poetica dell’orafo (Isotta, la Chimera), poetica del convalescente (Poema paradisiaco), poetica del superuomo (i romanzi, le tragedie), poetica dell’eroe e del martire (le opere della guerra e del dopoguerra).

Ma sostanzialmente, sotto queste varie poetiche, quella vera è una sola, nativa, personale: la ricerca di una gioia nelle parole trascinate in un canto che non è mai puro disinteresse musicale, perché si incentra ed indugia continuamente nelle parole rendendole significative come persone viventi, carnali, e non come simboli di suggestione. Poetica che trova la sua realizzazione perfetta solo una volta: nella naturalità dell’Alcyone.

Anche Pascoli, pur nella costante ricerca musicale, accresciuta sempre piú verso la fine in musica esteriore, ha come centro della sua poetica l’espressione delle cose nella loro immediatezza, l’espressione delle cose come le vede un fanciullino, con una magia naturale di impiccolimento delle grandi e di ingrandimento delle piccole, e con un senso del meraviglioso, del fiabesco che il filologo farà coincidere col gusto del primitivismo omerico.

Intrusioni moralistiche, umanitarie, intenzioni non realizzate di rendere il mistero, l’ignoto, aggravano la sua poetica fino a condurla alle peggiori cose della tarda maturità. Qui, come in D’Annunzio, è proprio la mancanza d’una vera intelligenza che fa viceversa accettare elementi extrartistici ed intellettuali.

Il Pascoli dei Poemi conviviali rientra nell’ambito del «Convito» debosisiano e dell’estetismo, le cui caratteristiche di ambigua ipervalutazione dell’arte si ritrovano sia nel peggiore D’Annunzio, sia nel suo teorico e fedele Angelo Conti.

La poetica degli estetizzanti, dopo un predominio alla fine del secolo, capitò fra le mani di giovani smagati e sottili che la spaccarono come una pura e semplice retorica. Reagivano questi giovani poeti a D’Annunzio e a Pascoli, mentre riprendevano in realtà l’uno e l’altro, specialmente il Pascoli delle piccole cose, il poeta del particolare umile, della realtà quotidiana. Sentivano anche la vicinanza dei decadenti verlainiani (Jammes soprattutto) e ne confortavano una poetica del quotidiano spassionato, che diventerà poi la retorica di un’uggia estremamente psicologica.

Come i crepuscolari, cosí da eredità dannunziane e pascoliane (energica riproduzione della realtà nella sua immediatezza piú fugace) e da conoscenze francesi, nacquero i futuristi, che presentano, se originali, varietà tali da escludere una poetica comune, o restano puri e semplici imitatori del solo loro poeta: Marinetti, la cui poesia è realizzata proprio nei Manifesti del futurismo, cioè nella esposizione della sua poetica. La quale consiste nel gareggiare con la velocità della vita moderna e nell’impazzire spasmodicamente in un uso secentista dell’analogia. Con i futuristi si chiude il primo decadentismo italiano, si esaurisce il periodo delle imitazioni e dell’europeizzamento.

La «Voce», il sorgere dei nuovi poeti che hanno assimilato e quindi superato i fondamenti teorici delle poetiche decadenti francesi, segnano un periodo poetico distinto, di creazione piú conscia ed europea.


1 F.W. Nietzsche, Der Fall Wagner, trad. it. Il caso Wagner, Monanni, Milano, 1927.

2 Del resto «decadente» nasce con una accezione peggiorativa né piú né meno che gotico, barocco, romantico.

3 Non si può negare il valore di studi come quello del Vinciguerra (M. Vinciguerra, Romanticismo, Laterza, Bari, 1930 [ora Nistri-Lischi, Pisa, 19543]), che vede un romanticismo eterno, anteriore a quello storico, e ne dà delle testimonianze abbastanza suggestive, ma bisogna riconoscere che si tratta di lavori approssimativi, non critici e certamente astratti dal vero senso della storia.

4 È critica di costume anche l’intelligentissimo libro di Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, «La Cultura», Roma, 1930 [ora Sansoni, Firenze 19483], un libro che fa sentire la continuità patologica di romanticismo e decadentismo, ma non conclude esteticamente se non nella appendice su D’Annunzio.

5 Non si può negare però in Sigmund Freud una certa coscienza della terribilità della sua opera, se si ricorda come egli abbia fatto suo il magnifico verso virgiliano:

Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo

che diventa cosí una sofferta ribellione al vecchio mondo, di sapore largamente baudelairiano.

6 «Il mondo è una metafora universale dello spirito, una sua immagine simbolica». «Noi siamo piú prossimamente stretti con l’invisibile che col visibile». «La poesia potrebbe anche avere tutt’al piú un senso allegorico all’ingrosso ed un’efficacia indiretta, come la musica». «Ogni parola è uno scongiuro; e qualunque spirito essa chiami, quello appare». Novalis, Pensieri, trad. it. Prezzolini, Collezione «Poetae philosophi et philosophi minores», Napoli, 1920.

7 Si è molto insistito (soprattutto da parte di John Charpentier, Dès Ioseph Delorme à P. Claudel, Les volumes répresentatives, 1931, e Symbolisme, Les arts et les livres, 1927, riammesso quasi integralmente nel primo volume) sull’origine inglese del simbolismo francese, ma, a parte il discutibile celtismo che vorrebbe essere la base duratura di questa tesi, non bisogna scordare la Germania: si deve semmai accentuare sempre piú il carattere di formazione europea del decadentismo.

8 Ch. Baudelaire, Oeuvres, La Pléiade, Paris, 1932, II, p. 133.

9 A. Galletti, D’Annunzio e Wagner, in Teorie di critici ed opere di poeti, Novissima, Firenze, 1930.

10 «Revue Wagnerienne», gennaio 1886.

11 Si veda una delle tante frasi in proposito, prendendola con cautela: «Le Français n’est pas lyrique. Trois ou quatre fois dans les dix siécles que comete son histoire litteraire, il a fait l’effort pour se créer une poésie lyrique: ce n’est que de nos jours qu’il a vraiment réussi» (Gustave Lanson).

12 I vari romanticismi si erano ormai regolati in tradizioni nazionali; il decadentismo riporta una diffusa aria europea.

13 Henry Bremond, La poésie pure. Avec un débat sur la poésie, par R. De Souza, Grasset, Paris, 1926.

14 Henry Bremond, Prière et poésie, Grasset, Paris, 1927. Vedi in proposito dei libri del Bremond, i saggi di A. Tilgher, Studi di poetica, Libreria di Scienze e Lettere, Roma, 1934, [ora ivi, 1944].

15 «Nous autres françaises, nous avons tous Boileau dans le sang, dans les moelles, nous ne saurions nous passer de verité, d’agrément, de clarté, de précision». G. Lanson, Boileau, Hachette, Paris, 1899.

16 Che cosa è, ad esempio, il tema costante di Pirandello? Un esasperato idealismo che aggirandosi nell’ambito della psicologia, della persona empirica, riesce ad un sostanziale solipsismo: l’io può cambiare, trasformarsi, assumere mille maschere, ma permane in lui il principio di individuo grezzo che non può superare il silenzio che lo esclude dagli altri.

17 René Lalou, Histoire de la littérature française contemporaine, Crès, Paris, 1922, dice in proposito: «Les décadents dissemblaient des symbolistes en ce sens, qu’ils admettaient l’émotion directe, la traduction exacte des phénomènes de la vie au lieu d’en exiger la transposition, qu’ils n’allongeaient pas outre mésure l’alexandrin et qu’ils usaient de formes fixes»; ma son distinzioni un po’ sbiadite e all’incirca.

18 Cito dalla traduzione di M. Praz, Poeti inglesi dell’800, Bemporad, Firenze, 1925.

19 Ottimo è tener presente l’À rebours di Huysmans per vedere come la poetica decadente si riflette nella vita abituale di un personaggio: «Des Esseintes», che è il prototipo del decadente e quasi la poetica decadente incarnata, fatta vita personale.

20 «Ho messo il mio genio nella vita, non ho messo che il mio talento nei miei libri», dice di se stesso Wilde, e in Intenzioni, in un capitolo Decadenza dell’arte della menzogna, trasporta una specie di preziosa retorica decadente in atteggiamenti di carattere morale. E si ricordi come la critica estetizzante, per epurare l’arte, l’abbia viceversa psicologizzata in maniera morbosa: caso estremo quello della Gioconda.

21 Dominique Braga, citato da J. Charpentier in Dès J. Delorme à P. Claudel cit., p. 208.

22 In Mallarmé c’è basilare un sottile problema assillante: c’è un essere del non essere, una voce del silenzio? E d’altronde la sicurezza di vedere ogni cosa sotto forma di assoluto indicava una superpoesia cui egli tendeva con ogni sforzo.

23 Per quanto anche in altre nazioni si fosse formata già una civiltà poetica decadente, torniamo ad insistere sul carattere europeo del decadentismo e d’altronde sulla centralità della Francia in questo movimento di gusto.

24 Domenico Petrini, Poesia e poetica carducciana, De Alberti, Roma, 1927 [ora in Dal barocco al decadentismo, Le Monnier, Firenze, 1957, II. Per la mia ormai mutata valutazione del Carducci in rapporto alla poetica del decadentismo, rinvio ai tre saggi Linea e momenti della poesia carducciana, Tre liriche del C., C. politico, ora raccolti in Carducci e altri saggi cit.].